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Tumore del rene, l'immunoterapia migliora la sopravvivenza

Oncologia Redazione DottNet | 23/09/2020 14:11

Oltre il 50% dei pazienti trattati con la combinazione di due molecole immunoterapiche, nivolumab e ipilimumab, è vivo a 4 anni

Il 35% delle diagnosi di tumore del rene è in fase avanzata o metastatica. Per questi pazienti l'immunoterapia, che potenzia il sistema immunitario per combattere con più forza la neoplasia, sta cambiando lo standard di cura. Oltre il 50% dei pazienti trattati con la combinazione di due molecole immunoterapiche, nivolumab e ipilimumab, è infatti vivo a 4 anni e la combinazione di nivolumab con un'altra terapia mirata, cabozantinib, ha notevolmente migliorato la sopravvivenza globale, riducendo del 40% il rischio di morte, e ha raddoppiato la sopravvivenza libera da progressione della malattia.    Sono i risultati principali degli studi di fase 3, CheckMate -2141 e CheckMate -9ER2, condotti su pazienti mai trattati in precedenza e presentati al Congresso virtuale della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO). Efficacia confermata anche dal programma italiano di uso compassionevole su 324 pazienti.

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 Nei tumori renali "la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate poco efficaci - afferma Sergio Bracarda, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica dell'Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni -. Il trattamento di elezione per la malattia localizzata è rappresentato dalla chirurgia ma soltanto circa il 30% dei casi guarisce grazie all'intervento.  L'immuno-oncologia sta ora aprendo prospettive importanti". Nello studio "sono state coinvolte 1.096 persone - spiega Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. In tutti i pazienti, i tassi di sopravvivenza globale a quattro anni erano pari al 53,4% con nivolumab e ipilimumab e al 43,3% con la terapia standard sunitinib. Siamo di fronte al più lungo follow-up per una combinazione immunoterapica in prima linea nel carcinoma a cellule renali avanzato, con risultati che possono cambiare la pratica clinica. Fino a 5 anni fa, solo poco più del 10% dei pazienti era vivo a un quinquennio dalla diagnosi. Oggi invece, grazie alla combinazione, più della metà dei pazienti è vivo a 4 anni. Un grande passo in avanti in termini di speranza di vita". 

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